Società in house: per le progressioni verticali non serve la procedura selettiva

Con due recenti sentenze “gemelle” la Corte di Cassazione ha affermato l’innovativo principio per cui nelle società in house, diversamente da quanto avviene negli enti pubblici, la qualifica superiore sarebbe conseguibile per effetto dello svolgimento di fatto delle corrispondenti mansioni e non richiederebbe il superamento di un’apposita procedura selettiva.

La Suprema Corte è giunta a tale conclusione in considerazione del fatto che il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico non è disciplinato dal d.lgs. n. 165 del 2001, bensì dalle norme del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro alle dipendenze di privati, alle quali deve farsi riferimento in assenza di una disciplina speciale derogatoria.

Pertanto, lo svolgimento di mansioni superiori dovrebbe ritenersi disciplinato dall’art. 2103 cod. civ. e non configurerebbe – diversamente da quanto avviene nel pubblico impiego – una novazione oggettiva del rapporto di lavoro.

Inoltre, i Giudici di legittimità si sono interrogati sulla compatibilità di tale inquadramento con la normativa che fa divieto alle società a partecipazione totale o maggioritaria pubblica di procedere all’assunzione di nuovo personale ed impone il contenimento della relativa spesa, concludendo nel senso che deve escludersi che questa disciplina si estenda anche alle progressioni di carriera.

Sulla base di questa motivazione con le sentenze in commento sono state cassate le decisioni delle Corti di merito.