Recesso ad nutum e cumulo contributivo

Con una recente sentenza il Tribunale di Roma – Sezione Lavoro ha accolto un ricorso patrocinato dallo Studio Lessona avverso il licenziamento ad nutum disposto dal datore di lavoro, stante, a suo dire, l’intervenuto raggiungimento, da parte della dipendente, dei requisiti per la pensione di vecchiaia.
In particolare, il licenziamento era stato disposto, oltre che sulla base del dato anagrafico (ossia il compimento dei sessantasette anni di età), anche alla luce dell’asserito conseguimento del requisito contributivo minimo, pari a 20 anni.
La ricorrente, tuttavia, ha contestato la sussistenza di tale ultimo requisito evidenziando che la propria anzianità contributiva presso l’INPS fosse pari a tredici anni, e che non dovessero essere presi in considerazione, ai predetti fini, i contributi precedentemente versati presso un’altra gestione previdenziale in qualità di lavoratrice autonoma.
Nel ricorso, in particolare, è stato evidenziato che l’istituto del cumulo contributivo – cui aveva fatto ricorso implicitamente l’Azienda – non possa essere utilizzato arbitrariamente dal datore di lavoro al fine di risolvere ad nutum il rapporto di lavoro con un “proprio” lavoratore indipendentemente da una manifestazione di volontà in tal senso da parte di quest’ultimo, comportando ciò un palese stravolgimento dell’istituto giuridico stesso, che, da strumento pensato per arrecare una utilitas al lavoratore, finirebbe per essere utilizzato in suo danno.
Il Tribunale ha accolto integralmente le tesi della lavoratrice, dispondendo la sua reintregra in servizio e condannando la Società a risarcirle il danno nella misura delle retribuzioni maturate dalla data del recesso a quella di effettiva reintegra.

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