Nel valutare l’opzione zero, nell’ambito dello studio di impatto ambientale della VIA, occorre proporre un diverso collocamento territoriale del progetto?

Recentemente il Consiglio di Stato si è occupato di una vicenda riguardante il diritto dell’ambiente e, nello specifico, la valutazione di impatto ambientale..

La vicenda traeva origine dall’istanza presentata da una s.p.a. ai sensi dell’art. 46 d.l. 159/2007, per la realizzazione di un impianto di stoccaggio e rigassificazione di GNL (Gas Naturale Liquefatto). Ottenute le autorizzazioni necessarie, tra cui la compatibilità ambientale del progetto rilasciata dal comitato tecnico VIA, un privato aveva impugnato dinanzi al T.A.R. per il Lazio il decreto adottato dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministero della Cultura, che esprimeva il giudizio positivo di compatibilità ambientale reso ai sensi dell’art. 25, comma 2, del d.lgs. 152/2006, unitamente ai connessi pareri tecnici favorevoli.

In particolare, fra le varie censure, il ricorrente lamentava il fatto che l’intero procedimento di VIA fosse viziato dal momento che, a suo avviso, non erano state prese in considerazione né alternative ragionevoli né la c.d. opzione zero, come invece impone la norma (art. 22 del d.lgs. 152/2006).

Il ricorrente, risultato soccombente in primo grado, aveva proposto appello, ma il giudice a quo l’ha dichiarato infondato nel merito.

            In tale occasione il Consiglio di Stato ha sottolineato che “la VIA si sostanzia non già in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell’opera programmata, bensì in un giudizio sintetico globale di comparazione tra il sacrificio ambientale imposto e l’utilità socio-economica procurata dall’opera medesima, tenendo conto anche delle alternative possibili e dei riflessi della c.d. opzione zero. Essa non è un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, trattandosi di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico-amministrativo, con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi, pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico-sociale) e privati”. Pertanto, le scelte della p.a. non sono sindacabili dal giudice amministrativo, fatta eccezione per vizi macroscopici, come la manifesta illogicità o incongruità.

            La S.C. ha, poi, precisato che “lo studio di impatto ambientale deve valutare alternative, inclusa l’opzione zero, senz’altro ragionevoli e adeguate al progetto, ma non anche, come di converso pretenderebbe l’appellante, necessariamente da collocare in ambiti territoriali diversi rispetto a quello in cui si vorrebbe realizzare il progetto

            Nel caso di specie, il provvedimento di VIA, nel recepire integralmente il contenuto del parere reso dalla Commissione tecnica di verifica ha dato conto della “valutazione comparativa in concreto effettuata nonché della articolata istruttoria svolta nell’ambito del procedimento posto in essere” ai sensi degli artt. 23 e 24 del codice dell’ambiente.

            La Corte, respingendo il ricorso, ha concluso affermando che le valutazioni alternative del proponente, ivi compresa l’opzione zero, risultassero adeguate e la valutazione di impatto ambientale non fosse affatto viziata.